LA PRIMAVERA DI PRAGA

autore: 
Roberto Vittucci Righini

SPERANZE E ILLUSIONI SCOMPAIONO IL 22 AGOSTO 1968.

Morto il 2 marzo 1953 Stalin, scomparsa la
sua statua dalla collina di Letna, che domina Praga, a seguito della dura critica dello stalinismo di Nikita Krusciov al XX Congresso del Partito Comunista del febbraio 1956 a Mosca, a fine 1967 sopravvivevano dei dirigenti comunisti che ne avevano seguito supinamente le infami direttive, solo Walter Ulbricht nella Germania Est e Antonin Novotny in Cecoslovacchia.

Dopo qualche timido presagio (il trasferimento per luogo ignoto della mummia di Klement Gottwald - il “grande compagno” che aveva preso il potere il 14 giugno 1948, mantenendolo con il pugno di ferro - avvenuto di notte dal mausoleo che la conteneva, il permesso al Primate Monsignor Beran, di lasciare il confino e raggiungere Roma, le voci di dissenso di taluni intellettuali nel Congresso degli scrittori tenuto nell’estate 1967) finalmente nel plenum del gennaio 1968 Novotny venne scalzato dalla segreteria del partito comunista, passata ad Alexander Dubcek, di 47 anni, appartenente ad una famiglia slovacca rientrata in patria dopo alcuni anni trascorsi a Chicago negli Stati Uniti d’America.

Dubcek, in pratica sconosciuto in Occidente, dopo tre anni in cui aveva frequentato la scuola superiore di partito a Mosca, da dieci anni faceva parte del comitato centrale e da cinque del presidium.

Il 21 marzo Antonin Novotny venne dal presidium del partito privato anche della carica di presidente della repubblica, passata a seguito di scrutinio segreto (grande novità) a Ludwig Svoboda, Generale che aveva combattuto a Stalingrado, precedentemente caduto in disgrazia e mandato a fare il contabile in una cooperativa agricola in Slovacchia.

Nuovi personaggi venivano nel frattempo insediati al potere: Cernik alla presidenza del consiglio e Jozef Smirkovsky a quella del parlamento.

Ad aprile a Brno, Dubcek ufficializzò con valore di legge la libertà di stampa, concessa moralmente a gennaio, e subito dopo la Literarni Listy con un Manifesto chiamato “delle 2000 parole”, lanciò un appello ai progressisti del governo di proseguire lungo la intrapresa strada di rinnovamento all’insegna di un socialismo “dal volto umano”.
Mentre la Romania di Ceausescu e la Jugoslavia di Tito lo appoggiavano, il nuovo corso veniva prima guardato con sospetto e poi condannato da Ungheria, Germania Est e Polonia che chiedevano a Breznev ed all’Unione Sovietica un intervento che ponesse fine alla “primavera di Praga”.


Dopo gli incontri di Ciernia e Bratislava di luglio agosto, chiusi con comunicati rassicuranti ma vaghi, i carri armati russi, polacchi, ungheresi e tedescoorientali che convergevano, per le manovre annuali del Patto di Varsavia, sulla Cecoslovacchia, invadevano Praga nella notte del 20 agosto 1968.

I Cecoslovacchi erano in grado di reagire solo con qualche corteo e con l'incendio di alcuni carri armati.
Il 22 agosto i giornali sovietici davano le prime notizie dell'invasione comunicando che la Cecoslovacchia aveva chiesto “l'aiuto fraterno” dell'Urss per fermare la controrivoluzione, ottenendolo generosamente.


Gromiko nell'ottobre alle Nazioni Unite difese la teoria della “sovranità limitata” di Breznev, sostenendo che l'invasione della Cecoslovacchia era stata per l'Unione Sovietica una “misura di autodifesa”.
I russi sostituirono Dubcek con Husak e la schiavitù comunista venne completamente ristabilita con processi e condanne.

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