L’ITALIA DEGLI SPRECHI

autore: 
Roberto Vittucci Righini

Cominciamo dagli enti o istituzioni che ci governano:
chi abita in città è amministrato, si fa per dire, da Consiglio di quartiere, Consiglio comunale, Consiglio Provinciale, Consiglio Regionale, Stato Italiano e Comunità europea; ai residenti in località minori vengono risparmiati i Consigli di quartiere, fermo il resto.

Mica male, visto come vanno le cose e per come l’Italiano in molte occasioni si sente completamente abbandonato a sé stesso e non sa, con tanti che formalmente si dovrebbero prendere cura di lui, a quale Santo votarsi.
Gli enti e le istituzioni sono costituiti da persone retribuite ed ecco anche perché siamo oberati di balzelli, imposte, contributi e via dicendo; in effetti ci viene dato atto che le entrate fiscali sono in costante aumento, anche se ci viene taciuto che grazie al maggior spolpamento al quale siamo sottoposti, è in costante aumento l’evasione fiscale (molti infatti ritengono che tra il fallire loro e mandare in bancarotta lo Stato sia preferibile la seconda soluzione).

Ci avevano raccontato che l’istituzione delle Regioni avrebbe reso inutili le Province ma poi, forse in quanto bisogna pur trovare un’occupazione a parenti ed amici, i nostri “saggi” governanti alla chetichella e senza troppo pubblicizzarlo, hanno man mano inventato altre Province giungendo in taluni casi, come è avvenuto in Sardegna, a raddoppiarle.
Popolo bue, lavora, produci, suda e retribuisci con le tasse tanti, ma tanti, ma tanti, che magari fanno niente ma che nel loro quieto e riposante stato di perenne riposo, ad imitazione dei Santoni buddisti meditano per raggiungere il nirvana che nella fattispecie consiste nel trovare il modo di farci vivere felici.

E così nonostante l’incremento delle entrate fiscali, il debito pubblico non solo non diminuisce ma è in costante aumento.
Ma il calduccio delle poltrone nelle quali sono seduti (verrebbe da dire stravaccati) tanti nostri “rappresentanti”, non è l’unica causa del dissesto economico dello Stato.

Spese sanitarie

Nel 1998 un medico dell’Azienda sanitaria 5 di Napoli riuscì a far spendere al Servizio sanitario nazionale 3 miliardi di lire in clisteri, senza che si sia mai capito quale contagio intestinale avesse colpito i suoi pazienti o il suo cervello.
La Corte dei Conti ha denunciato 560 medici dalle eccessive prescrizioni ed ha accertato che nel 2004 nella sola Lombardia 564 medici hanno causato un danno erariale di 25 milioni e mezzo di euro prescrivendo medicine dopo aver ricevuto regali da imprese farmaceutiche.
In un anno in Italia sono state emesse 478 milioni di ricette, 8 per Italiano, con costo pro capite di 204 euro.
Il buco della spesa sanitaria nel 2005 è stato di 520 milioni nel Lazio, 323 in Sicilia e 273 in Campania.
Molte famiglie hanno armadietti ricolmi o quasi di medicinali, parte dei quali quasi in scadenza se non già scaduti, mentre è rimasta lettera morta la norma della Legge finanziaria 2005 per l’introduzione in commercio di confezioni con un numero ridotto di unità posologiche da utilizzare quando ancora non si conosce la risposta del paziente al farmaco. Naturalmente le imprese farmaceutiche sono grate per questa “dimenticanza” che si trasforma in un regalo loro fatto.

Ospedali incompiuti

Sono 126 gli Ospedali approvati, progettati e finanziati, rimasti in Italia incompiuti e non funzionanti.
Il 75% di tali strutture si trova nel Mezzogiorno (nella sola Sicilia sono 34), il 14% nel Centro ed il restante 11% nel Nord.
Nel nostro Paese la media per la costruzione di un Ospedale è 18 anni, con il risultato che a lavori finiti, parte degli impianti e macchinari sono sorpassati e vanno cambiati o quanto meno aggiornati, con ulteriori spese.
Per l’Ospedale Sant’Anna di Como i costi sono cresciuti nei 6 anni di ritardo, del 330%. Nel Centro oncologico pediatrico di Avellino, iniziato nel 1992 e per il quale sono già stati spesi 6 milioni di euro, non c’è un posto letto nè è stato curato un solo bambino, nonostante vi siano 30 medici ricercatori, un dirigente scientifico e 10 vigilantes.
Idem, nei posti letto zero, per il Centro di riabilitazione di Pizzo Calabro iniziato nel 1959, con 2 milioni e mezzo spesi. A Santa Maria di Imbaro in provincia di Chieti sono stati spesi centinaia di miliardi di lire per costruire, a partire dai primi anni ’70, un ospedale psichiatrico, diventato inutilizzabile prima che venisse ultimato, a seguito della legge 180 che ha abolito i manicomi.
Gli esempi potrebbero continuare.

Aziende fantasma

Con denaro non solo dello Stato Italiano ma anche della Comunità europea sono stati finanziati 57 nuovi stabilimenti in Calabria nella piana di Gioia Tauro, che avrebbero dovuto dare lavoro a 1.600 operai. Le nuove aziende sono però solo 6 con 120 operai. A seguito di indagine è risultato che un imprenditore di Brescia aveva investito il denaro ottenuto per la costruzione di una industria, direttamente in titoli di Stato, un dentista-imprenditore aveva “investito” nell’acquisto di un’autovettura Ferrari “Testarossa”, mentre un altro, dopo aver inaugurato la fabbrica, nottetempo ha smontato tutti i macchinari denunciandone poi il furto; scoperto, è risultato che aveva già chiesto un secondo finanziamento attraverso la Regione Campania, per gli stessi macchinari.
Un gruppo di imprenditori di Ravenna e Brescia ha corredato la pratica per la creazione di industria per la produzione di accessori per auto, di un progetto da 122 dipendenti e di una perizia falsa che spacciava per nuovi macchinari obsoleti; risultato: finanziamento per più di 50 milioni di euro e assunzione di sole 13 persone.
Le truffe in questo campo coinvolgono tutte le Regioni italiane ad eccezione della Valle d’Aosta, tanto che nel 2006 l’Unione Europea ha chiesto la restituzione di 67.051 milioni di euro, cominciando dalla Puglia con 16.081 milioni, dalla Sicilia con 9.292 e dalla Calabria con 9.048, per finire con Molise (0,671 milioni), Umbria (0,576) e Liguria (0,053). Non monde dalle truffe le egioni del Nord: Piemonte con 2.571 milioni, Lombardia 5.543 e Veneto 1.408.

Enti inutili

Nel 1956 venne creato l’Ispettorato generale per la liquidazione di enti disciolti – Iged che iniziò dichiarando tali 600 sigle poi diventate 827. Settecentouno degli individuati enti inutili sono stati chiusi in questo ultimo mezzo secolo, ma ne rimangono centoventisei compresi dodici commissariati per gravi irregolarità contabili.

Tra i 126 enti inutili sopravvissuti, ricordiamo: l’Eagat, comitato liquidazione dell’ente autonomo gestione aziende termali, l’Uansf, ufficio accertamenti e notifica sconti farmaceutici, l’Ente Colombo ’92, la Cassa conguaglio zucchero, l’Egas, ente giuliano autonomo Sardegna, l’Onairc, opera nazionale di assistenza infanzia delle regioni di confine, l’Ancc, associazione nazionale controllo combustione, la Lati, linee aeree transcontinentali italiane, fondata su richiesta di Italo Balbo, anch’essa inserita nel 1956 nell’elenco degli enti inutili, ma sempre in liquidazione a causa di una vertenza con il Brasile sulla proprietà di un terreno del valore di 15.000 euro.

Nel 2002 il ministro dell’economia Giulio Tremonti, constatata l’inutilità dell’Iged che, con quattordici uffici, quattordici dirigenti ed un centinaio di funzionari costava allo Stato una cinquantina di milioni di euro (100 miliardi di lire) l’anno, stabilì che le numerose pratiche ancora aperte della stessa dovessero passare alla Fintecna, società esterna controllata dallo Stato. In quattro anni, però l’Iged, ente che era stato creato per eliminare gli enti inutili, è riuscito solo ad eliminare quattro dei suoi quattordici uffici.
Il record degli enti inutili è comunque detenuto dal comitato nazionale italiano per il collegamento tra il governo italiano e le Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, creato 59 anni or sono, i cui membri vengono nominati direttamente dal ministro delle Politiche agricole e forestali.

Fino al 28 febbraio 2002 il Comitato aveva tre dipendenti, poi inglobati dal ministero delle Politiche agricole e da allora non ha più dipendenti ma ha goduto ugualmente di un contributo ordinario annuale da parte dello Stato, di 284 mila euro. Da sedici anni - l’ultima volta il 3 gennaio di quest’anno - la Corte dei Conti ne ha chiesto la chiusura per inutilità manifesta, dopo aver accertato che nei quattro anni presi in esame il Comitato si era riunito solo tre volte e che nel 2004 non si era riunito nemmeno per l’approvazione del bilancio, poi consegnato fuori dai termini di legge.

Nell’ottobre 2001 l’allora ministro Gianni Alemanno, rispondendo ad una interrogazione aveva detto che era allo studio l’inglobamento entro la fine di quell’anno delle funzioni del Comitato nel ministero, studio evidentemente ancora in corso posto che nulla è stato ad oggi fatto in merito. “Intensa” comunque l’attività del Comitato se si osserva che nel 2002 il suo segretario generale ha assicurato la presenza ad alcune iniziative della Fao, nel 2003 ha curato l’organizzazione di un convegno internazionale di due giorni, nel 2004 ha redatto un “progetto di attività 2004-2006” e nel 2005 ha prodotto uno spot televisivo, ha organizzato un’esposizione di macchine agricole per le vie di Roma, ha addestrato 10 guardie forestali sudanesi ed ha raggiunto con l’Ucraina un accordo preventivo per il progetto “La via della soia”.

La redazione dei bilanci per il Comitato privo di dipendenti non è facile tanto che la Corte dei Conti ha rilevato che sono pieni di errori ed ha chiesto maggior rigore, concludendo “Il tempo trascorso fa ritenere improbabile nel prossimo futuro un rinnovato atteggiamento delle amministrazioni interessate.
Questa Corte non può quindi che ribadire l’opportunità della sua soppressione”.
Il parere della Corte dei Conti è stato tenuto in tal rilievo dal Governo da averlo indotto nel marzo 2006 ad aumentare il contributo annuale al Comitato da 284.000 a 750.000 euro.
Evviva, tanto, al solito, paga Pantalone!

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