PREPARIAMO L’AVVENIRE

autore: 
Massimo Mallucci

Abbiamo, più volte, sostenuto che i monarchici possono essere definiti dei “tradizionalisti politici” e, come tali, affidano il loro progetto ai tempi lunghi della storia, andando oltre l’immediatezza delle elezioni.
In questo senso noi riteniamo che la Monarchia debba essere proposta come traguardo, a coronamento di un vasto programma di rinnovamento della Società e dello Stato.
In buona sostanza un Re che possa fare da coperchio ad una società sostanzialmente repubblicana e ad un sistema, fondato su principii rivoluzionari, ci interesserebbe molto poco.

Ecco perchè riteniamo sia nostro dovere scendere in campo per difendere delle priorità civili e denunciare l’involuzione, nella difesa delle libertà, che l’attuale classe politica sta attuando.
Mai come in questo momento si evidenzia, nei fatti, come il germe, involutivo e latente di ogni repubblica, sia proprio l’instaurarsi delle oligarchie. La nostra classe politica dimostra di considerare, sempre di più, il popolo come un’entità astratta e lontana, da chiamare a ratificare decisioni già prese. Sono un esempio i candidati imposti dall’alto che diventano “personaggi” inamovibili e presuntuosi padroni della politica che gestiscono a loro uso e consumo.

La costruzione, poi, di un Super Stato Europeo, voluto dai burocrati e dai padroni dell’economia, contribuisce a creare una struttura onnipotente, volta a costruire un “pensiero unico”, verso una repubblica globale.
Ecco perchè ogni divisione nel mondo del tradizionalismo politico e tra monarchici costituisce un vero e proprio “reato” agli occhi della storia.

Il ruolo che i monarchici sono chiamati a svolgere è importante come fosse una “missione”. Con le sole commemorazioni, i pennacchi, le patacche e i mantelli si possono costruire dei “pavoni”, non certamente delle persone formate da una vera e propria “scuola di pensiero”, capace di contribuire al rinnovamento dello Stato. L’abolizione della Monarchia, in Italia, voluta dai vincitori e dai nemici dell’identità nazionale, costruita dalle generazioni che ci han preceduto, sia pure tra “luci e ombre” hanno contribuito all’annullamento del senso della Patria, con tutto ciò che ne consegue, sul piano dell’affermazione politica ed economica del nostro Paese, nel contesto internazionale.

All’indomani del Referendum del ‘46 i monarchici italiani si sono ritrovati a dover fare i conti con la nuova realtà repubblicana e, i non rassegnati, si sono subito posti il problema di come gestire il consenso che si era, comunque, manifestato, in modo massiccio, a favore dell’Istituto Monarchico.
Occorreva indirizzare e concretizzare il diffuso sentimento di lealtà e di devozione alla Monarchia, in una presenza effettiva nella nuova realtà politica italiana, in modo da rendere costantemente, vicino al cuore ed alla mente degli Italiani, il problema del Re, esule e lontano, sì da farlo intendere come problema di tutti e non solo come grave, individuale, atto di iniqua e disumana persecuzione.
V’è da dire che molti si adagiarono in un atteggiamento di nostalgico ricordo, in alcuni casi non del tutto disinteressato.

L’associazionismo monarchico continuava ad insistere nei pur giusti motivi di recriminazione, nei confronti di un referendum dai risultati nebulosi, la cui legittimità era stata messa in dubbio dalle circostanze dedotte nei numerosi ricorsi depositati, ai quali non era stata data idonea risposta. Il numero dei votanti, inferiore e non corrispondente a quello dei voti complessivamente conteggiati, le schede contestate, i certificati elettorali duplicati, l’esclusione dal voto dei reduci di guerra non ancora rientrati in Patria, l’esclusione dell’italianissimo territorio di Trieste, il computo della maggioranza da attribuire alla parte “vincente”, effettuato in palese contrasto con il dettato del “decreto luogotenenziale” che il referendum aveva indetto, sono soltanto alcuni riferimenti alle principali contestazioni dei monarchici.

Tuttavia, senza tener conto della nuova realtà politica, le recriminazioni ed il semplice sentimento di fedeltà, determinava una sempre maggiore marginalizzazione della componente monarchica. In questo contesto fu Alfredo Covelli ad avere l’intuizione geniale di creare una forza politica, capace di portare alla Camera ed al Senato una pattuglia di monarchici “a viso aperto”, secondo una bella definizione che lo stesso Re Umberto II ebbe a dare, successivamente, agli uomini di “Stella e Corona”.

Il Partito avrebbe avuto lo scopo di riunire, in un’unica formazione, il maggior numero di gruppi e gruppettini monarchici presenti in Italia che l’associazionismo, nonostante l’autorevole U.M.I., non riusciva ad aggregare, anzi incrementava, come in effetti incrementa ancora oggi, in un pullullare di micro formazioni, in un patetico arcipelago di nullità. Oltre a dare una visibilità ai monarchici italiani, l’intento era quello di ottenere un secondo referendum, condizionando, in tal senso, soprattutto la DC. Purtroppo, mentre Covelli cercava di affermare la presenza del Partito che doveva diventare tra i più importanti dello schieramento politico italiano con 40 deputati e 16 senatori, conquistando amministrazioni di primo piano come Napoli, l’associazionismo vanificava tali sforzi, screditando la presenza politica dei monarchici, in quanto tali.

All’insegna dei “Monarchici nei partiti” venivano inseriti candidati nelle varie liste. Nessuno di questi, anche se eletto, è mai riuscito ad attuare una politica monarchica. Inseriti nei partiti, i monarchici, sono sempre stati penalizzati ed ostacolati in modo mirato. In altri casi il voto dei monarchici è stato dimenticato il giorno dopo, immolato sugli altari di quelle che venivano gabellate come più importanti ed attuali necessità. Eclatante è l’atteggiamento del Presidente dell’UMI Benedetti il quale, come ci riferisce Andrea Ungaro, alla vigilia delle elezioni del 1948, proprio in opposizione alla presenza del P.N.M., sostenne come “La questione monarchica fosse secondaria di fronte allo scontro di civiltà che le elezioni del 1948” rappresentavano. Indirizzò, così, i voti dei monarchici verso altri partiti e, in particolare, la DC che instaurò, proprio in quell’occasione, il sistema del ricatto anticomunista.

Di fatto, per decenni, la DC ha chiesto voti a destra, per portarli a sinistra. In questo senso l’errore dell’UMI fu enorme, in quanto accreditò, indebitamente, nell’opinione pubblica, la DC quale unico baluardo contro il comunismo, determinando quel vuoto a destra che ha sbilanciato la politica italiana verso la sinistra.

Un forte Partito monarchico avrebbe potuto, invece, riequilibrare, da destra, le scelte del grande partito di centro, offrendo possibili alternative alla sinistra e condizionandone, proprio perchè forza autonoma, le scelte.
A distanza di tanto tempo, mutati radicalmente gli scenari della politica nazionale ed internazionale, il primo ruolo dei monarchici, nella realtà di oggi, dovrebbe essere, innanzitutto, quello di rappresentare una difesa per l’identità del popolo italiano, di fronte alla globalizzazione ed ai poteri forti della economia mondialista. Alla repubblica universale che si vuole costruire, insieme all’imposizione di un pensiero unico, uccidendo ogni specificità ed individualità, occorre opporre il binomio: Tradizione e Monarchia.

In questo senso noi sosteniamo che tutti i “tradizionalisti politici” hanno contribuito a costruire l’Italia, comprese quelle realtà che si riferiscono anche a Dinastie ed esperienze diverse dall’epopea risorgimentale.
Abbiamo più volte sostenuto come la vera unità dei popoli italiani sia da ricercare nel legittimismo delle “insorgenze”. La nostra visione del Risorgimento è volta a conservare piuttosto che distruggere, a ristabilire antichi legami, piuttosto che combatterci. I Monarchici, poi, sono rimasti gli unici a pretendere di ridiscutere la così detta “Costituzione Europea”, imposta dai padroni della politica e della finanza, insieme alla moneta unica.
Mettere in discussione questo Super-Stato di tecnoburocrati, affaristi delle varie lobbyes economiche, significa ripensare la nostra stessa modernità. Chiunque si rivolti contro questo culto giacobino dello Stato Onnipotente, non potrà che incontrarsi con il progetto monarchico.

I monarchici, ovviamente, debbono farsi interpreti di tale pensiero e, proprio oggi, a 61 anni dal Referendum, cercare di mantenere viva nel dibattito culturale e politico del Paese una questione monarchica.
Tutto questo è possibile solo con un movimento politico, capace di scendere in campo e coagulare interessi collettivi intorno ad un programma.

Indipendentemente dai risultati che potrà ottenere, un movimento politicamente attivo eviterà la storicizzazione della Monarchia, effetto sicuramente letale e che determinerebbe la fine di un’Idea che deve rappresentare un’ipotesi di cambiamento nella società.
Il pericolo della storicizzazione è, invece, latente nelle manifestazioni rievocativo- funerarie che caratterizzano la maggior parte dell’associazionismo monarchico italiano.
Proprio nel 2006, in occasione delle elezioni politiche, svoltesi nel nostro Paese, i monarchici di Stella e Corona avevano offerto il proprio simbolo alla coalizione del Polo. Il rifiuto della Casa delle Libertà di inserirlo nel cartello elettorale è stato sicuramente un errore, in
quanto il simbolo del Partito Monarchico, proprio nel sessantesimo del Referendum, avrebbe potuto apportare quei voti che sono mancati al centro destra per vincere le elezioni.

I sondaggi avevano, in effetti, evidenziato come una presenza “monarchica dichiarata” avrebbe potuto richiamare al voto molti di quegli Italiani che se ne sono allontanati.
A distanza di tanto tempo, venuto meno, ormai, il riferimento al Re esule, nel frattempo deceduto, venute meno anche pregiudiziali e contrapposizioni non più attuali, i monarchici, svincolati ovviamente da qualunque circolo di corte, potranno essere ancora utili alla costruzione della nuova Italia che non può prescindere da una componente così importante della sua storia, per
consolidare radici che siano comuni a tutti. Non vi potrà essere una vera riforma delle istituzioni e non si potrà riscrivere la Costituzione, come da più parti viene auspicato, senza una vera e propria “Costituente”, eletta a tale scopo.

In una siffatta realtà i monarchici, portatori del principio “Autorità in alto, libertà in basso”, che caratterizza la società tradizionale, potranno essere ancora utili al nostro Paese.
Una cosa è certa: il primo impegno dovrà essere quello di far capire che i nostri voti non sono più da considerare dovuti e scontati e, per quel che ci riguarda, sicuramente non saremo più disposti a portare acqua a mulini estranei.
Per la costruzione della nuova Italia dovranno concorrere, come già detto, gli sforzi congiunti delle varie componenti della “tradizione”, nella consapevolezza che tutti insieme, anche coloro che hanno avuto posizioni contrapposte, soprattutto nel XIX secolo, hanno contribuito a costruire la storia della nostra Patria.

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