RICORDO DI S.M. IL RE VITTORIO EMANUELE III

autore: 
ITALIA REALE

(NELLE PAGINE DA 5 A 12 ALLEANZA MONARCHICA RIPERCORRE CON FOTOGRAFIE LA VITA DEL RE SOLDATO, COMMEMORANDONE I 60 ANNI DALLA MORTE).

Giuseppe Marcora nato a Milano il 14 ottobre 1841 ed ivi morto il 4 novembre 1927, fu mazziniano, garibaldino e venne eletto deputato del Partito radicale, diventandone poi leader.

Con Mazzini ebbe lunghi stretti rapporti e con Garibaldi partecipò ad una spedizione in Sicilia dopo quella dei Mille, combattendo a Milazzo ed al Volturno, dove venne promosso Sottotenente.
Fu con Garibaldi anche nel Trentino poi lasciato a seguito del celebre “Obbedisco”.

Avvocato, venne eletto per la prima volta alla Camera nel V Collegio di Milano il 12 novembre 1876 (XIII legislatura) e nuovamente rieletto prima a Milano e poi a Sondrio nel 1881, 1882, 1886 e, quindi, dal 1892
al 1919. Vicepresidente della Camera nella XXI legislatura (1900), primo dei Vicepresidenti dal 20 febbraio 1902, Presidente dal novembre 1904 (XXII legislatura), si dimise l’8 marzo 1906 e tornò nella carica il 2 febbraio 1907 mantenendola nelle successive XXIII e XXIV legislature e così dal 24 marzo 1909 al 29 settembre 1919.

L’1 maggio 1921, venne nominato senatore.
Marcora ha lasciato “Note autobiografiche”, conservate nelle Civiche Raccolte Storiche di Milano, Archivio Giuseppe Marcora, recentemente pubblicate, a cura di Marco Soresina, dalle Edizioni Comune di Milano, Amici del Museo del Risorgimento.

Nelle “Note” del 23 aprile 1922 Marcora ha scritto:

“Crederei però di mancare ad un mio preciso dovere, se chiamando in questo momento, come già in principio, ad assistermi la mano della mia buona moglie, non destinassi ancora una breve aggiunta per ricordare in particolare modo i rapporti da me avuti col Re Vittorio Emanuele III e coi membri della sua famiglia.

Dirò di lui che dovetti ammirare le prove di bontà e di coraggio che, unitamente alla di lui consorte ed emulando il suo genitore re Umberto, diede in occasione del 1° terremoto delle Calabrie, sia in quello più disastroso che, sul finire del ‘908, percosse Reggio e Messina e molte altre località delle due province.

Nei 14 anni che salvo brevissimo intervallo fui Presidente della Camera, nei frequenti contatti che ebbi con lui, sia per consulti nelle diverse crisi, sia al fronte durante la guerra, dovetti constatar(ne) la saggezza, il pronto intuito e l’indomita fede nei destini d’Italia nella buona e nell’avversa fortuna delle armi, il coraggio e lo spirito di abnegazione il tutto congiunto a una singolare modestia che lo fecero degno di portare il nome del suo grande avo, e di succedere nelle virtù di mente e di cuore al suo genitore.

Durante tale lungo periodo ebbi da lui attestazioni ripetute di fiducia e di affetto delle quali taccio per modestia e nelle stesse circostanze, e in tutte le occasioni nelle quali ebbi occasione di essergli vicino per solennità patriottiche e civili, mi apparve come il più sincero assertore dei diritti d’Italia e soprattutto del suo decoro e della sua indipendenza verso tutte le prepotenze straniere.

Ricordo anche il suo desiderio, da me appagato, di essere informato delle dottrine di Giuseppe Mazzini e dei suoi rapporti con Garibaldi e del fascino da entrambi esercitato sulla gioventù italiana.

Della regina Elena, angelo di bontà e carità, colla quale ebbi più volte ad intrattenermi insieme alla mia buona signora, potei riconoscere l’alta intelligenza, l’affetto suo pel marito e pei figlioli accompagnato sempre dal più assoluto riserbo in materia politica che valse a farle tenere degnamente il posto di regina d’Italia, senza nulla togliere al prestigio della regina madre.

Anche da questa ebbi per me e per mia moglie indubbie prove di deferenza e di affettuosa stima, e in ripetute occasioni ne constatai la squisita intelligenza e la svariata cultura che ad essa, prima regina d’Italia, cattivarono l’amore del popolo italiano.
Di lei conobbi pure il fratello, principe Tommaso, che durante il periodo di guerra tenne con grande competenza e decoro la Luogotenenza dello Stato, e di lui ricordo il bellissimo discorso pronunciato parecchi anni prima in occasione delle feste per la restaurazione del Campanile di S. Marco.
Il grande disastro tellurico del 1908 mi porse occasione di avvicinare quale Presidente, che egli era, del Comitato di soccorso ai danneggiati di quel disastro, il duca d’Aosta, che ne diresse i lavori con insuperabile competenza.

Lo avvicinai pure al fronte a Cervignano dove egli tenne con tanto prestigio il comando della gloriosa 3^ Armata, e in diverse occasioni pure il conte di Torino e il duca degli Abruzzi, quest’ultimo celebre per i suoi arditi viaggi”.

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