In 10 anni la povertà in Italia è più che raddoppiata. Lo stato difende gli italiani ?

Opinione di Italia Reale: 
Secondo i dati contenuti nel nuovo Dossier “Poveri noi” di Openpolis, in collaborazione con ActionAid, emerge che in Italia, dopo quasi 10 anni di crisi, la povertà è più che raddoppiata.
 
Se nel 2005 in Italia erano circa 2 milioni di italiani che si trovavano in povertà assoluta –  il 3,3% della popolazione che non era in grado di permettersi spese essenziali  (cibo, vestiti, casa o le medicine) - nel 2015 gli italiani poveri sono quasi 4,6 milioni, che corrisponde al 7,6% dei residenti.
 
La grave crisi economica ha causato perdita di posti di lavoro ed ha reso difficile trovare un impiego, ma non è solo la mancanza di lavoro che ha causato l’impoverimento.
 
Secondo Openpolis oggi in Italia sempre più giovani hanno probabilità  di trovarsi in povertà assoluta  e una donna con un solo figlio ha meno probabilità di lavorare che una mamma con tre figli in Danimarca e in altri 13 Paesi dell’Unione Europea.
 
Come se non bastasse, il welfare italiano non è in grado di rispondere alle nuove forme di povertà causate dalla difficoltà economica. Solo una minima parte della spesa sociale viene destinata ai soggetti che, hanno subito maggiormente l’impoverimento.
 
Nella condizione di povertà assoluta si trova il 19,8% delle famiglie, dove la persona di riferimento è in cerca di occupazione.
 
Altro fattore che ha contribuito ad aumentare i poveri è la struttura del mercato del lavoro. Nelle famiglie operaie il tasso di povertà assoluta è triplicato tra 2005 e 2015, passando dal 3,9 all’11,7%.
 
Inoltre nel corso dei 10 anni è aumentato il numero di persone che lavorano con contratti di poche ore: +28,07% chi lavora tra 11 e 25 ore a settimana, +9,06% chi lavora anche meno di 10 ore a settimana.
 
Un altro aspetto da tener conto è che nel 2005 i più poveri erano gli anziani sopra i 65 anni (4,5% circa), adesso invece la crisi ha capovolto la situazione: in un decennio il tasso di povertà assoluta è diminuito tra gli anziani (scesa al 4,1%), mentre è cresciuto nelle fasce più giovani.
 
Sempre secondo il dossier, in Italia si registra il più alto tasso di giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti neet). Nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni l’Italia è il paese dell’Unione europea con la più alta percentuale di neet, mentre in quella tra 15 e 29 anni è seconda dopo la Bulgaria.
 
Purtroppo tra 2005 e 2015 sono anche raddoppiati i bambini sotto i 6 anni che vivono in una condizione di grave deprivazione materiale.
 
In Italia la povertà femminile spesso deriva dal mancato accesso delle donne al mercato del lavoro, soprattutto dopo la maternità. Nella classifica delle lavoratrici con un figlio siamo penultimi in Europa, seguiti solo dalla Grecia. Nel 2015 la quota di donne con un figlio che lavorano (56,7%) è inferiore alle lavoratrici con almeno tre figli in Danimarca (81,5%).
 
In questa drammatica situazione è cruciale il ruolo dello stato sociale nel ridurre il tasso di povertà.
L’Italia spende in protezione sociale (al netto della spesa sanitaria) il 21,4% del PIL, ma in termini di riduzione della povertà, il welfare italiano potrebbe fare di più. Infatti riduce il rischio povertà dal 45,8% della popolazione al 19,4%, meno di altri stati, come Francia (dal 44,4% al 13,3%), e Svezia (dal 44% al 15,1%).
 
Purtroppo in questi ultimi 10 anni, davanti a fattori epocali, come globalizzazione,  perdità di sovranità, austerità,  moneta unica, che hanno contribuito ad aumentare la povertà, si è pensato a salvare banche e l’Euro, invece che difendere i cittadini.
 
Il welfare è stato ridotto, e quello che rimane è utilizzato male. Sono poche le risorse destinate davvero alle famiglie in difficoltà, ai senza lavoro e in generale alle situazioni di disagio. Inoltre le misure contro l’esclusione sociale sono scarse e frammentate, prive di un disegno organico.
 
In questi anni quello che è davvero mancato è uno Stato che difenda gli interessi e il benessere degli italiani ....
La repubblica ha fallito ! C'è bisogno di un altro tipo di Stato ...
 
 
 
 
Fonte: 
Poveri noi
 
Esclusione sociale e welfare in Italia tra 2005 e 2015
 
Dopo quasi dieci anni di crisi, la povertà è raddoppiata. Ma il welfare italiano sembra ancora poco adatto a rispondere alle nuove forme di difficoltà economica. Tutti i dati nel nuovo MiniDossier openpolis “Poveri noi”, in collaborazione con ActionAid.
 
Dieci anni di crisi. Nel 2005 circa 2 milioni di persone si trovavano in povertà assoluta, ovvero il 3,3% della popolazione non era in grado di permettersi un paniere di beni considerato minimo per una vita accettabile. Nel 2015 sfiorano i 4,6 milioni, il 7,6% dei residenti in Italia. Nel mezzo si trova la crisi economica con la perdita di posti di lavoro e la difficoltà a trovare un impiego da parte dei giovani, che ha rallentato la possibilità di creare nuove famiglie. L’incremento più drammatico tra 2011 e 2013: in un solo triennio i poveri assoluti sono passati dal 4,4 al 7,3% della popolazione.
 
Lavoro e povertà. Si trova in condizione di povertà assoluta il 19,8% delle famiglie dove la persona di riferimento è in cerca di occupazione. Ma non è solo la mancanza di lavoro a causare l’impoverimento. Anche la struttura del mercato del lavoro che si è affermata dopo la crisi può aver contribuito ad aumentare i poveri. Nelle famiglie operaie il tasso di povertà assoluta è triplicato tra 2005 e 2015, passando dal 3,9 all’11,7%. Inoltre nel corso dei 10 anni è aumentato il numero di persone che lavorano con contratti di poche ore: +28,07% chi lavora tra 11 e 25 ore a settimana, +9,06% chi lavora anche meno di 10 ore a settimana.
 
Povertà giovanile. Nel 2005 i più poveri erano gli anziani sopra i 65 anni (4,5% circa), e comunque fino al 2011 non si registravano grosse differenze di povertà tra le varie fasce d’età. La crisi, distruggendo posti di lavoro, ha capovolto questa situazione: in un decennio il tasso di povertà assoluta è diminuito tra gli anziani (scesa al 4,1%), mentre è cresciuto nelle fasce più giovani: di oltre 3 volte tra i giovani adulti (18-34 anni) e di quasi 3 volte tra i minorenni. Tra le cause, anche l’altissima percentuale di persone che non studiano, non lavorano e non sono in formazione (i cosiddetti neet). Nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni l’Italia è il paese dell’Unione europea con la più alta percentuale di neet, mentre in quella tra 15 e 29 anni è seconda dopo la Bulgaria.
 
Povertà femminile. La percentuale di donne in povertà assoluta è raddoppiata tra 2005 e 2015, in linea con l’andamento nell’intera popolazione. In questi anni è aumentato il divario salariale di genere (dal 5,1% del 2007 al 6,5% 2014), anche se resta più contenuto rispetto ad altri paesi. In Italia la povertà femminile spesso deriva dal mancato accesso delle donne al mercato del lavoro, soprattutto dopo la maternità. Nella classifica delle lavoratrici con un figlio siamo penultimi in Europa, seguiti solo dalla Grecia. Nel 2015 la quota di donne con un figlio che lavorano (56,7%) è inferiore alle lavoratrici con almeno tre figli in Danimarca (81,5%).
 
Il welfare italiano. Vista la crescita delle difficoltà economiche diventa cruciale il ruolo dello stato sociale nel ridurre il tasso di povertà. L’Italia spende in protezione sociale (al netto della spesa sanitaria) il 21,4% del pil, cioè sopra la media Ue pari al 19,5%. Ma in termini di riduzione della povertà, il nostro paese potrebbe fare di più: prima dei trasferimenti sociali si trova a rischio povertà il 45,8% della popolazione, mentre dopo si scende al 19,4%. Il welfare francese riduce il rischio povertà dal 44,4% al 13,3%, quello svedese dal 44% al 15,1%. È importante sottolineare che poca della nostra spesa sociale viene destinata ai soggetti che, con la crisi, hanno subìto maggiormente l’impoverimento. In Italia la tutela dalla disoccupazione e dal rischio esclusione impiega il 6,5% della spesa in protezione sociale, contro il 15,8% della Spagna, il 12,1% della Francia, l’11,7% della Germania e il 10,9% del Regno Unito. La quota di spesa sociale destinata alle famiglie, ai bambini e al diritto alla casa supera la doppia cifra negli altri stati europei, mentre da noi si ferma al 6,5%.