IMMIGRAZIONE E LAVORO

autore: 
Alfredo Turi

Una proposta dei monarchici

La feroce campagna elettorale che ormai da mesi affligge, è il caso di dire, l'opinione pubblica sta facendo dimenticare, o quanto meno obbliga a mettere in secondo piano, i tanti problemi che attanagliano questa repubblichetta, problemi che l'attuale governo di sinistra non ha risolto affatto, accentuandone semmai, in alcuni casi, la gravità con la sua inazione. Tra i problemi ve ne sono due che, oltre ad essere molto gravi e pressanti, sono correlati tra loro: il problema dell'immigrazione e quello del lavoro. Da anni l'Italia è meta privilegiata dell'immigrazione di massa dai paesi del cosiddetto “terzo mondo”; questo flusso migratorio avviene in forma minima per vie legali, cioè attraverso le ambasciate ed i consolati italiani, ed in massima parte attraverso vie clandestine, quasi totalmente gestite dalla malavita organizzata, italiana o straniera che sia. I motivi di questa scelta sono essenzialmente due: la facilità con cui in Italia è possibile risiedere, sia legalmente, vista la politica scellerata che vuole, da alcuni anni, un'accoglienza indiscriminata di chiunque, da qualunque parte del mondo provenga, sia illegalmente, visto il proliferare di organizzazioni malavitose che gestiscono gli immigrati per i loro scopi criminali senza che nessuno intervenga realmente per fermarle; sia perchè dalle sbrindellate e spesso inesistenti frontiere del nostro Paese è molto facile raggiungere altre Nazioni europee più ricche ma più fermamente custodite della nostra. Per quanto riguarda l'immigrazione “di transito”, sono tanti e tali i rimproveri e gli ammonimenti delle altre Nazioni europee che ormai la loro indignazione non fa più notizia, o almeno così la pensa la stampa di regime. L'immigrazione “stanziale” invece riesce ancora ad attirare l'attenzione dei cronisti (essendo la popolazione molto vigile, per motivi facilmente intuibili), dato che sono all'ordine del giorno i crimini commessi dagli immigrati, sia che si tratti di efferate azioni delittuose, sia che si parli di lavoro sommerso, o “nero” che dir si voglia (ma si dovrebbe chiamare “giallo”, visto che in questo campo sono i cinesi a farla da … padroni), a discapito anche di quei (pochissimi) lavoratori stranieri che invece sono legittimamente e legalmente presenti nel nostro Paese, spesso occupati in impieghi disprezzati dai lavoratori italiani (anche, va detto, dai cosiddetti “disoccupati storici”). I nostri concittadini, peraltro, hanno visto in questi anni diminuire il numero dei posti di lavoro disponibili a causa di una politica dell'occupazione che si è indecisi se considerare più criminale o stupida. Da una parte le privatizzazioni selvagge (iniziate dal melenso Prodi) hanno garantito ai privati la possibilità di effettuare tagli draconiani alla forza lavoro delle imprese ex pubbliche, dall'altra la tradizionale politica vessatoria del fisco italiano ha spinto numerose aziende medie e grandi a trasferire la produzione all'estero, in Paesi dove i costi sono sensibilmente più ridotti (o almeno, abbastanza da coprire le maggiori spese di trasporto lasciando un certo margine di guadagno). In mezzo: una politica dei salari mortificante, con sindacati organici al potere che non difendono più i lavoratori (ma allora, cosa ci stanno a fare?), la difficoltà oggettiva per i disoccupati di trasferirsi nelle zone di maggiore produzione a causa di un costo della vita insostenibile (che senso ha spostarsi dalla Calabria a Milano per uno stipendio da 1,3 milioni, quando ce ne vogliono 1,5/1,8 per sopravvivere?), la penalizzazione delle piccole e piccolissime imprese artigiane, pur facenti parte integrante del nostro patrimonio culturale, ed altro ancora. In questo quadro desolante i movimenti eversivi hanno buon gioco a reclutare nuovi adepti e l'intolleranza rischia di trasformarsi in razzismo e xenofobia; comunque sia il Paese percorre un crinale che può portarlo alla bancarotta. Come al solito però, i monarchici non possono solo evidenziare i mali della repubblica, ma devono anche essere capaci di prospettare delle soluzioni. Un primo urgente provvedimento, dettato dalla logica oltre che dalla necessità, deve riguardare la chiusura immediata delle nostre frontiere. Questa chiusura, temporanea si badi bene, deve servire a dare allo Stato la possibilità di censire in maniera corretta (e non politicizzata) il reale numero degli immigrati, clandestini e non, di stabilire il numero di coloro che possono essere accolti in maniera corretta e degna di un Paese civile (chiudendo i campi d'accoglienza voluti dalla sinistra, sempre più simili a lager). La tratta degli schiavi deve essere perseguita fino alle estreme conseguenze e deve essere attuata una severa politica nei confronti dei Paesi che permettono queste emigrazioni criminali, tanto per cominciare bloccando subito gli aiuti economici che pure chiedono a gran voce e puntualmente ricevono (Albania docet). Alle suddette Nazioni semmai, così come all'O.N.U., deve essere chiesto di intervenire per creare in loco le condizioni per uno sviluppo economico concreto e a lungo termine, anche perchè, in fin dei conti, sono proprio i popoli costretti ad emigrare a chiedere questo. Per quanto riguarda il problema della disoccupazione, gli opposti schieramenti politici hanno proposto diverse soluzioni che, a loro dire, risolverebbero la questione, tutte però a lungo o lunghissimo termine. Alcuni passi invece potrebbero essere fatti anche nell'immediato. Innanzitutto andrebbero favorite subito le piccole e piccolissime imprese artigiane, spesso a conduzione familiare, le quali, è risaputo, hanno ancora grossi problemi di carattere fiscale nell'assumere giovani praticanti; inoltre i prodotti artigianali italiani dovrebbero essere proposti sui mercati internazionali attraverso una politica di promozione nazionale, che garantisca la defiscalizzazione dei guadagni ottenuti, ancor più quando reinvestiti sul territorio. Ovviamente dovrebbe essere facilitato ulteriormente il trasferimento delle aziende medio-grandi in zone disagiate del territorio nazionale piuttosto che all'estero, garantendo, se necessario, lo stesso tipo di vantaggi; dove questo non sia possibile lo Stato dovrebbe farsi carico, almeno per un periodo iniziale, delle spese di trasferimento che molti lavoratori sono costretti a sostenere, rendendo realmente conveniente lo spostamento delle masse di disoccupati. A questo proposito mi permetto di avanzare una proposta la cui realizzazione è talmente semplice che a nessun politico sino ad ora era venuta in mente. Da anni le caserme dismesse dalle FF.AA. Italiane (sorvolo sui motivi di queste dismissioni per carità di Patria) vengono trasformate in una sorta di campi di concentramento per clandestini, in temporaneo ”transito sul nostro territorio; è notorio che questi “signori” per incuria, diversità di costumi o vero e proprio vandalismo, tendono a distruggere le palazzine che li ospitano nel mentre questi edifici potrebbero essere restaurati e restituiti alla pubblica utilità, trasformandoli in una sorta di “residence” dello Stato, dove i disoccupati italiani, costretti a trasferirsi per poter lavorare, possano risiedere per periodi variabili di tempo (da tre mesi a un anno o anche oltre se necessario), pagando una sorta di affitto simbolico di 20/30.000 lire al mese. I vantaggi di questa semplice operazione sarebbero molteplici: innanzitutto si restituirebbe dignità a luoghi che spesso fanno parte della storia d'Italia, avendo ospitato gloriosi reparti delle nostre FF. AA. Ormai sciolti o trasferiti. In secondo luogo si valorizzerebbe un enorme patrimonio immobiliare che altrimenti rischierebbe di andare in rovina, infine (ma è l'obiettivo principale) si permetterebbe ad emigranti e lavoratori part time di poter ricavare un risparmio concreto dagli spesso miseri salari iniziali, contribuendo ad abbattere le spese dell'alloggio. A contorno dell'iniziativa, le attività di recupero edilizio, di manutenzione, di sorveglianza, di pulizia e lavanderia industriali ecc. garantirebbero una non disprezzabile quantità di ulteriori, del tutto nuovi posti di lavoro. Un goccia nel mare? Forse. Quantomeno una proposta concreta da parte di persone niente affatto nostalgiche, non votate ad uno sterile ricordo del passato, ma concretamente presenti nella società moderna, che si vuole fermamente migliorare per il futuro: una proposta dei monarchici italiani.

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